XIV Edizione del Danceproject Festival
Oltre la danza verso nuovi orizzonti…
JENTU è la nuova creazione della compagnia Zerogrammi ispirata al Don Quijote di Miguel Cervantes.
Nella lettura attenta dell’opera l’interesse per le gesta del protagonista e dei suoi compagni di viaggio (da Sancho Panza a Dulcinea) si è spostato sul senso che tali imprese possono ancora avere per noi oggi. Azioni senza lieto fine, inutili, consumate nella penombra di una stanza. Azioni capaci di prefigurare una nuova etica e un nuovo modello di eroe senza poteri speciali, senza gloria né squilli di tromba ad annunciarne la fragile umanità.
Laboratorio di sperimentazione creativa dove si incontrano le capacità espressive, comunicative e creative del proprio corpo, accrescendo la consapevolezza dello spazio e del movimento che si fa danza.
La tematica attraverso cui si svilupperà l’incontro e la ricerca coreografico-espressiva sarà la pelle.
La pelle ci veste, ci protegge e ci mette in comunicazione con il mondo esterno. Comprende tutta la superficie del corpo e, essendo la sede degli organi di senso, ci permette di percepire tanto lo spazio interno quanto lo spazio che ci circonda.
Attraverso la pelle non ci “confondiamo” con l’esterno ma ci definiamo in relazione a ciò che sentiamo.
Il Butoh è una forma di danza contemporanea creata da Tatsumi Hijikata verso la fine degli anni ’50 in Giappone. La sua danza “..ebbe origine dal fango primaverile”; egli pose le basi per lo sviluppo della danza moderna, rifiutando le forme e proponendo una danza assolutamente individuale e inimitabile. La successiva generazione di danzatori ha fatto conoscere il Butoh in Europa dove tutt’ora continua a svilupparsi. E’ danza contemporanea nel vero senso del termine perchè riflette i bisogni e desideri del nostro tempo.
Play with me è uno spettacolo sul gioco: fisico e virtuale. Che cosa ci diverte? Passare da un gioco all’altro senza soluzione di continuità, far lavorare la fantasia, essere nei panni di qualcun altro, diventare ogni cosa, ogni animale.
Dire di sì e dire di no. Giocare, giocare e ancora giocare. Una danzatrice e un attore sulla scena scoprono la loro natura giocosa.
Mettono alla prova la durata del divertimento. Sullo sfondo i loro corpi narrano, senza parole e senza il c’era una volta, le infinite possibilità della danza contemporanea.
Il progetto propone uno sguardo sulle opere di Shakespeare dal punto di vista della danza, della musica e della cibernetica.
L’obiettivo è esplorare le passioni più abiette e più nobili dell’animo umano, il potere e il tradimento come cause di conflitti e tensioni interne che trovano una risonanza particolare nella danza e nella musica.
L’atmosfera del pezzo, suddiviso in diversi episodi, è evocata tramite la ricerca di un linguaggio corporeo e una drammaturgia fortemente espressivi che, attraverso un percorso di esplosione, reazione e creazione, porteranno alla nascita di un dialogo tra narrazione e reale. La realtà si espande nella finzione e la finzione tocca la realtà.
I contenuti testuali di Shakespeare sono condensati in diversi episodi che enfatizzano la drammaturgia del corpo e la trasformazione in un corpo cibernetico (il viso di Giulietta è uno schermo che proietta l’immagine di un uomo anziano).
Ambizione, amore e potere influenzano profondamente il corpo portando a una degradazione del poetico e del sublime.
Il pezzo è presentato come una tragedia fuori dal tempo in un contesto contemporaneo
Il testo di François Garagnon, in una lingua metaforica e personale, racconta il viaggio della costruzione di sé, contrapponendo la filosofia dell’essere alla filosofia dell’avere: l’obiettivo dell’esistenza è divenire, essere un Grande Amore Senza Fine, anche se in partenza siamo una piccola cosa, un Little something appunto.
Nel raccontare questo viaggio da piccolo a grande, Garagnon inventa una serie di personaggi tanto allegorici quanto vividi: L’Avventuriero del Banco- di -tutto – il – Possibile, Il Riparatore – del Tempo – Perso, il Giardiniere-d-Amore, la Sorgente-Pura, il Soffio-d-Invisibile che non solo restituiscono immagini che si aprono a interpretazioni spirituali della vita al di là dei confini della singola religione, divenendo figure universali.
Il testo è un flusso ritmico e armonico che articola un percorso individuale dal desiderio di bellezza alla realizzazione piena dell’esistenza.
Ispirato al romanzo omonimo di Alexandre Dumas e alle Ballate di Robin Hood, lo spettacolo interpreta le gesta del fuorilegge più conosciuto dell’anno mille, arciere infallibile ed astuto, principe dei ladri e incontrastato signore della foresta di Sherwood. Nel bosco Robin Hood vive la sua adolescenza allenandosi a diventare il paladino e il difensore dei deboli e costruendo, insieme ai suoi compagni Little John e Lady Marian, una società fondata sulla libertà, sull’uguaglianza e sulla giustizia sociale.
I personaggi, ripresi dal folklore britannico, sono sulla soglia della leggenda, in uno scenario popolato da re beffati e re ingiusti, da sceriffi senza cuore, giovani lady in cerca d’amore e riscatto e vittime innocenti, dando vita ad una favola sulla generosità di un uomo che si scaglia in difesa degli oppressi.
spettacolo di danza, suono e luce liberamente a ispirato da Il Cantico dei Cantici.
lo spettacolo cerca di immergere lo spettatore attraverso una serie di scenari dove il naufragio, il sogno, il labirinto, il volo, la morte e la rinascita si creano attraverso corpi in movimento in uno spazio fisico e mentale. Gli uccelli, spettatori, accompagno il viaggio verso la conoscenza dell’altro.
Lo spettacolo evoca in maniera onirica e astratta tre grandi coppie dell’amore di tutti i tempi, coppie che sono state spesso messe ai margini, amori con donne proibite, perché straniere o estranee alla tradizione religiosa ufficiale, impure perché libere. Queste donne, eroine di un amore con la A maiuscola, sono accompagnate dall’ombra degli uomini che le hanno rese celebri, e sono ognuna l’evocazione di una cifra che si ripete all’interno del binomio natura-civiltà, un binomio fatto di contrasti e paradossi all’interno della dinamica di “in- contro”.
La ricerca della propria identità fa sempre i conti con l’adolescenza.
Come eravamo da adolescenti?
Desiderose di essere alla moda e alternative, elettrizzate all’idea di fare esperienze e di diventare grandi, gelose dei segreti e impazienti di scoprire l’amore.
Ogni evento era accompagnato da una colonna sonora; da una canzone cantata a squarciagola o sussurrata con le amiche. Figlie degli anni ’90, la nostra crescita è stata segnata dalle prime boy band e dai modelli femminili proposti nei video musicali nei vari programmi televisivi.
Chi, se non Gabry Ponte, poteva racchiudere in uno dei suoi ultimi brani l’essenza degli anni ’90:
“…Del Festivalbar… di quando c’era il walkman e Fiorello al Karaoke…
Del Gameboy e di Blue, da ba dee, da ba daa… ma che ne sanno i 2000!!!!…”
Da qui nasce il desiderio di portare sulla scena quelle sonorità tanto ascoltate per fare un tuffo nel passato e riscoprirci in quel tempo in cui dal “SI E”’ ad un tratto si è passate al “IO SONO”.